Agorà: che cosa vogliamo

Nell’ultima Agorà è tornato il problema del chi siamo-dove andiamo-che cosa vogliamo. Sono infatti emerse in questi mesi tre versioni possibili di agorà.

1) Agorà dovrebbe essere un luogo di costruzione di pensiero. In questo caso però la dimensione assembleare non sarebbe la più adatta, anche se ovviamente in questa dimensione stessa possono vivere (e sono vissuti) discorsi interessanti e non scontati.

2) Agorà potrebbe essere un agente di contrattazione/negoziazione.  In questo secondo caso bisognerebbe individuare una controparte (per diverse ragioni il Comune sarebbe quella meno difficile) e alcuni obiettivi da proporle. A nome di Agorà Maria ha proposto al tavolo sul lavoro il sussidio universale di maternità, ma la proposta e la nostra presenza in quel luogo politico sono finite lì.

3) Agorà potrebbe essere parallela a una corrente politica. Questo modo mi sembra l’unico per risolvere il problema, più volte evocato, degli uomini, che non può essere risolta dalla presenza di alcuni individui di sesso maschile alle nostre riunioni. Qualcuna una volta ha fatto riferimento a Occupy Wall Street e io ho aderito con entusiasmo, ma anche di questo non si è parlato più.

Ora, io non ho nulla da proporre, non ho come dice Giordana “la soluzione in tasca”. Mi è chiaro che le storie diverse, gli intenti diversi, le aspettative diverse ecc. renderebbero le mie proposte non ricevibili da molte altre e i miei interventi “comizietti”.  So però che cosa proporrei in un ambiente non dico omogeneo, ma con convinzioni e abitudini più vicine alle mie.  L’affermazione è un po’ surreale e anche per questo non mi spingo oltre. Dico solo che non per caso sono emerse questa versioni e non altre: un’agorà del lavoro dovrebbe assolvere tutti e tre questi compiti, articolando e differenziando le proprie pratiche.

Lidia Cirillo

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